[traduzione, introduzione e cura di A. Bibbò, Feltrinelli, Milano 2017]
Antonio Bibbò firma una nuova, splendida, traduzione di MolI Flanders, pubblicata da Feltrinelli. Un compito non facile, tradurre questo capolavoro di Daniel Defoe, che fu – come ha recentemente ribadito con nuove argomentazioni Riccardo Capoferro nel suo Novel: La genesi del romanzo moderno nell’Inghilterra del Settecento – uno dei padri fondatori del romanzo moderno. Scritto in un inglese di inizi Settecento, con frasi lunghe anche mezze pagine e in un linguaggio al tempo stesso arcaico e scanzonato che echeggia il parlare della malavita dell’epoca, Moll Flanders pone di fronte al traduttore la scelta tra una pesantezza polverosa e pose poco spontanee e linguisticamente sbracate. Bibbò è riuscito a evitare entrambi i tranelli, presentando una versione filologicamente corretta, che mantiene un leggero sapore d’antico ma al tempo stesso risulta molto gradevole e predispone il lettore odierno a bersi la storia d’un fiato. Né disturba qualche rara audacia anacronistica, che occasionalmente modernizza il linguaggio scanzonato, rendendolo a noi più vicino. Moll Flanders è racconto di finzione, ma vi confluisce l’esperienza concreta che Defoe aveva della pratica giudiziaria e carceraria della sua epoca. In quanto giornalista giudiziario – così si direbbe oggi – egli frequentava i luoghi della giustizia per scrivere cronache, che pubblicava regolarmente nel periodico «Applebee Weekly Journal», e biografie criminali, come per esempio quelle dei notissimi John Sheppard e Jonathan Wild. Questa esperienza dello scrittore si traduce, nel romanzo, in una ricostruzione veridica degli ambienti in cui Moll si muove. Per fare un solo esempio: quando lei è rinchiusa a Newgate, le fa visita il cappellano del carcere che, come i lettori dell’epoca sapevano, non era lì per redimere i peccatori, bensì per procacciarsi notizie da pubblicare in opuscoli di cui il pubblico era ghiotto e che gli procuravano notevoli guadagni. Quel mondo e quelle pratiche che Defoe presenta nel suo romanzo scompariranno alla fine del Settecento, dopo Jeremy Bentham, ma Bibbò ne ha una conoscenza storica che contribuisce a rendere la sua traduzione accurata pure nella resa di quei contesti.
La prefazione di Bibbò guida sia il lettore genericamente colto che lo studente. Si incentra principalmente su due temi: i generi letterari che confluiscono in MolI Flanders, e un’analisi del personaggio di Moll. Un’enciclopedia di stili, viene definito questo romanzo, in parte autobiografia spirituale e in parte biografia criminale e romanzo picaresco, dal tono anche politico e da riformatore sociale. Personaggio camaleontico e pieno di risorse, la sua protagonista. L’impostazione che Bibbò dà alla sua analisi è a mio avviso corretta. Fa bene a evidenziare il legame di Moll sia con la picaresca spagnola che con le biografie criminali, un genere che nasce nel Seicento subito dopo la pubblicazione della versione inglese del Guzman de Alfarache, intitolata The Rogue. In quel secolo, infatti, diverse biografie criminali recano, nel titolo o subito all’inizio, il riferimento al picaro spagnolo; e Moll possiede alcune caratteristiche del picaro e della picara (La picara Justina di Francisco Lopez de Ubeda). Per esempio, la derivazione dall’archetipo del trickster, personaggio metamorfico e funambolico, pieno di risorse e capace di risolvere i problemi in cui la realtà lo getta. La povertà all’origine di ogni nuova awentura, l’essere sola a doversela cavare nel mondo, non solo rispondono alle idee di Defoe, ma fanno parte proprio del calco della picaresca. Tuttavia, a differenza sia del personaggio spagnolo che dei protagonisti delle biografie criminali, quella di Moll è una vicenda in cui gli istinti borghesi e utilitaristici (su cui Bibbò attira l’attenzione) prevalgono, determinando una trama unitaria in cui le azioni e le esperienze si cumulano e confluiscono in un finale positivo. Moll Flanders è il primo dei romanzi inglesi che, pur modellati sulla picaresca, da questa si discostano per il forte senso del progresso. In questo, è già opera di pieno Settecento.
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